Da poche ore è attivo anche in Italia Family Link, http://families.google.com/familylink/ ,

Family Link arriva in Italia
il servizio Google dedicato alle famiglie per creare, gestire e controllare l’account dei figli e di conseguenza alcuni aspetti della vita digitale dei ragazzi, come la supervisione sulle applicazioini scaricate dallo store Google Play o sugli orari di utilizzo. L’app consente di attivare un account Google anche ai minori di 13 anni, mentre a 16 anni il minore si appropria del controllo completo, tagliando il cordone ombelicale digitale.
Da notare che chi avesse già attivato indebitamente un account per il proprio figlio al di sotto dei limiti minimi di età non può farlo rientrare sotto l’ala protettiva di Family Link. Google scrive infatti che “attualmente la gestione mediante Family Link di adolescenti che già dispongono di un account non è supportata.” Nessun problema per i baby-account creati ex-novo con la nuova app.
Qualcuno potrebbe obiettare che sarebbe meglio non acquistare uno smartphone o un tablet per bambini o ragazzi neo-adolescenti, se si teme che ne venga fatto un uso rischioso. C’è da dire però che finora di fatto i genitori, o altri adulti, aprivano per bambini minori di 13 anni gli account dichiarando una data di nascita gonfiata, ponendo fuori dalle regole la vita digitale del minore già quando era appena iniziata. È realisticamente inevitabile che il minore avrà prima o poi un proprio dispositivo mobile, ed esso sostanzialmente funziona solo se associato ad un account Google, Apple o Microsoft. Senza dubbio, è meglio che questo passo avvenga rispettando le regole di cui il ragazzo sia il più possibile consapevole. Ai tempi di Napster, azioni illegali come lo scaricamento di contenuti protetti dalle leggi sui diritti d’autore apparivano come una pratica da geek appassionati di informatica, cultori di quel mondo, da ricordare con nostalgia. Oggi la vita digitale dei nostri figli è affare più serio, pervasivo, ampio, profondo, allo stesso tempo irrinunciabile, e come tale da gestire con attenzione.
L’app non serve per filtrare contenuti pericolosi, ma per limitare più genericamente l’uso del dispositivo. Google ammette nelle FAQ del servizio che “Family Link non blocca i contenuti inappropriati, ma alcune app potrebbero offrire opzioni di filtro. Alcune app Google, come Ricerca e Chrome, offrono opzioni di filtro che puoi utilizzare con Family Link”.
Inoltre, paradossalmente, Family Link fa entrare i nostri pargoli ancora in fasce nel circuito pubblicitario identificandoli come tali. Google infatti candidamente ammette: “I servizi Google sono supportati grazie agli annunci pubblicitari, quindi tuo figlio potrebbe vedere annunci pubblicitari quando utilizza i nostri prodotti.” È da supporre che il bambino sarà profilato come tale e riceverà gli annunci pubblicitari targettizzati apposta per lui, con tutte le considerazioni che si possono fare a tal proposito.
Le obiezioni che però si possono fare sono anche altre. Si può affermare infatti che Family Link sia in realtà una nuova trovata per incentivare l’apertura di account in una fascia di mercato estremamente appentibile come quella dei preadolescenti? Può essere vista come una strategia per offrire ai genitori l’illusione del controllo acquisendo nuovi utenti ammantati dalla sacra aurea della sicurezza gestita dalla famiglia?
In tutto questo brilla l’assenza della scuola e delle istituzioni statali. Eppure, se l’argomento è l’identità digitale di un cittadino, ancorché minore, esistono le tecnologie sufficienti perché la “carta di accesso” dei nostri figli nel mondo digitale possa essere un affare gestito da istituzioni con finalità formative come la scuola, magari su piattaforme open source come Linux. In tal modo i nostri ragazzi vivrebbero il digitale come ambiente di crescita personale, anche di svago, ma con una impostazione educativa, almeno per capire che con quegli strumenti si possono fare tante cose più interessanti rispetto a quelle che calamitano l’attenzione di miliardi di persone per la gran parte del loro tempo. Invece no. I dispositivi nelle mani dei nostri ragazzi, nonché dei nostri insegnanti, pare debbano essere per forza avere il marchio dei colossi che fondano il loro business sulla cattura della vita attenzione allo scopo di fare raccolta pubblicitaria e vendita di servizi.
Google ha perso una buona occasione per decidere di tenere fuori i bambini dai meccanismi di raccolta dei dati e profilazione.